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. . . DICONO DI LUI . . .



Ho conosciuto Giorgio Viotto in occasione di una sua personale nella quale presentava acquerelli ed oli raffiguranti paesaggi montani, piloni votivi, scorci di paesi, nature morte.
     In una seconda personale ho scoperto con piacevole sorpresa un altro aspetto della sua pittura, una serie di opere di tendenza surreale a interpretazione visiva delle poesie del suo amico e poeta dilettante, Alessandro Morro.

     L'ispirazione, suggerita dalla lettura delle poesie di quest'ultimo è stata la molla che ha scatenato in lui una creatività raffinata unita ad una pregevole tecnica.

     Allievo di Pippo Ciarlo per l'olio e di Sandro Lo Balzo per l'acquerello, egli ha dato dimostrazione di avere ben assimilato gli insegnamenti dei suoi maestri applicandoli con ottimi risultati.

     E' soprattutto nelle opere surreali ispirate alle poesie di Alessandro Morro, che egli rivela una tecnica raffinata ed una fantasia creativa ed interpretativa di notevole forza.

     Un mondo fantastico, irreale, inquietante il suo, presentato però con delicate raffigurazioni di atmosfere rarefatte e sognanti, sostanzialmente diverso da quello delle prime opere realistiche e descrittive.

     Un legame con i suoi paesaggi certo vi è, ma è un altro modo di descrivere quello che ci propone in queste ultime composizioni, un modo che è visivamente e culturalmente diverso.

     Egli raffigura un mondo inabitabile e inospitale, diametrale quindi rispetto ai bucolici aspetti dei suoi paesaggi montani: a questi, si contrappongono infatti visioni fantastiche, monti inaccessibili, distese di pianure con spaccature della terra sui cui bordi gravitano figure umane, quasi robot fantascientifici, che si contrappongono a sfere enormi, emblematiche e conturbanti.

     Sono visioni che si propongono tuttavia con discrezione allo sguardo stupito ed affascinato: sono i colori infatti, sapientemente dosati ed elaborati in tonalità umbratili e fredde, a ben rendere le atmosfere quasi lunari che l'artista propone, riuscendo a coinvolgere intensamente il fruitore . Le tempere che egli utilizza per l'illustrazione delle poesie danno perciò a queste opere un sapore più sognante, più distaccato rispetto alla maggiore carica coloristica e realistica degli oli del periodo precedente, dove già compariva la stessa tendenza.

     Mentre in quest'ultimi vi sono sovente un riferimento ed una vaga somiglianza con i suoi paesaggi, scorci di paesi, campagne, spiagge ed altri elementi veristici che si inseriscono ancora nell'insieme delle scene: le tempere invece hanno maggiori e più precisi contenuti surreali.

     Appare chiaro che i testi delle poesie, ai quali sono ispirate le opere eseguite a tempera, sono stati determinanti anche per la scelta del tipo di tecnica esecutiva. Un tono più sommesso le avvolge: è l'attinenza ai testi poetici che lo richiede, ma è anche la personale interpretazione che rende questi lavori originali e affascinanti, è la fantasia di Giorgio a dare vita ad un mondo sicuramente onirico, ma razionalmente e pittoricamente costruito sulla carta.

     Occhi inquisitori appaiono, quasi nuvole, sospesi in un cielo che a volte è squarciato da mani possenti, rotaie volanti ma leggere come l'aria che conducono nel nulla attraversando villaggi sospesi come sogni e ancora altre visioni, uomini e animali incredibili in atmosfere inquietanti.

     Forse una visione amara della vita, sia del poeta che del pittore, ha determinato la nascita di queste opere nelle quali si respira una presenza di tensione e di angoscia.

     E' però in queste atmosfere incombenti, in questo disadorno ed attuale aspetto da disastro ecologico, che una speranza di vita compare: è la elaborata dolcezza delle sfumature dei cieli e di tutta le scena a costituire questa speranza, è la percezione visiva data da tale modo di operare che suggerisce una interpretazione di speranza, quasi un invito, a rimarcare che i baratri aperti nella terra sono destinati a chiudersi e le povere vegetazioni, che timidamente compaiono, diverranno un giorno selva con una rigogliosa ripresa.

     Una speranza dunque per l'uomo protagonista in queste opere, l'uomo, che vorrebbe dominare una natura prodiga di doni che con il suo dissennato progresso distrugge, è l'uomo l'attore, l'uomo che gioca con la sfera del destino, del suo destino, che lo vede partecipe di un universo nel quale il suo passaggio è segnato dal tempo scandito da una clessidra che come tutte le cose umane ha un termine, mentre la vita dell'universo nel quale l'uomo si trova è eterna e la natura è pronta a riprendere il suo ciclo, ancor più rigogliosa e splendente di prima.

Carignano febbraio 2008